Verso una PA sostenibile
Dopo
le vacanze estive si cerca tutti di tornare al lavoro con idee nuove
che ci evitino vecchi errori. Per noi inoltre questo è il
momento di buttar giù le prime riflessioni per preparare il
prossimo FORUM PA 2007 (dal 21 al 25 maggio dell'anno prossimo)
e le decine di appuntamenti congressuali in tutta Italia che lo
prepareranno, cominciare dai convegni di ottobre che trovate
annunciati nella sezione EVENTI.
In
questi giorni ho letto con evidente interesse le dichiarazioni di
politici ed esperti e di una in particolare, quella nata dalle
provocazioni di Pietro Ichino sugli impiegati pubblici
"nullafacenti", diamo ampio resoconto nella sezione TESI,
ma mi pare che siamo lontani da quel pensiero innovatore che oggi
servirebbe in presenza di domande del tipo:
-
Quale
pubblica amministrazione immaginiamo in tempo di "crisi
fiscale permanente"2
quando a bisogni sempre crescenti sia in quantità che in
consapevolezza corrispondono continui tagli di risorse?
-
Quale
pubblica amministrazione è adeguata ad una società
complessa e multilivello, in presenza di molteplici portatori di
interessi e di diversi centri decisionali concorrenti e quindi in
uno stato di negoziazione continua?
La
nostra tesi parte dalla convinzione che se il quadro di riferimento
cambia così radicalmente è necessario non un
aggiustamento "conservativo", ma un cambio sostanziale
di paradigma3.
Ci sembra infatti che la grande enfasi data negli ultimi anni alla
"buona gestione" e alla "compatibilità
economica" delle spese nel settore pubblico e l'attenzione
prevalente alla quantità e destinazione dei tagli necessari
per rispettare parametri prefissati, sia fortemente fuorviante.
Proponiamo quindi di affiancare e gradatamente sostituire per la PA
il paradigma della compatibilità economica e
dell'efficienza con quello della sostenibilità
e dell'efficacia.
L'assunto
di partenza è abbastanza semplice: "l'efficienza,
l'efficacia e l'economicità dell'azione
amministrativa"4
non possono ovviamente essere definite né tanto meno
"controllate" in assoluto, ma solo attraverso la
determinazione di una funzione che colleghi risorse impegnate e
quantità e qualità degli outcome attesi. Ciò
detto proviamo a chiamare PA sostenibile quella che
definisce di volta in volta un equilibrio flessibile e dinamico tra
bisogni e risorse sulla base dell'obiettivo della crescita del
"capitale sociale" dato dalla qualità della vita
dei cittadini e dalla ricchezza delle loro relazioni. Come uno
sviluppo economico "sostenibile" deve parametrarsi sulla
base della conservazione e della crescita del "capitale
naturale", così una PA sostenibile deve garantire
l'utilità marginale delle risorse impiegate in termini
di "capitale sociale" ossia di crescita del benessere dei
cittadini, della loro qualità della vita, della competitività
dei singoli territori e del sistema Paese.
In
questa ottica non ha senso chiedersi se si spende troppo o troppo
poco per il settore pubblico in percentuale del PIL, la domanda
giusta da porsi è se si spende bene, ossia se le risorse sono
impiegate in modo "economico" e quindi producono
incrementi marginali di benessere, di qualità della vita e di
competitività in linea con gli impegni, oppure in modo
"antieconomico" ossia portano benefici non proporzionali
agli sforzi fatti.
Questo approccio ci porta a considerare privo
di senso il giudizio che la PA "costa troppo" o troppo
poco. Una PA sostenibile per definizione costa ai cittadini né
più né meno che il prezzo5
che essi sono disposti a pagare ricevendone benefici commisurati.
Tutte le ricerche sul campo dimostrano, infatti, un'alta
propensione a privilegiare (ed anche a pagare) un servizio pubblico
che sia effettivamente di qualità e che sia offerto a tutti in
modo tale da accrescere le condizioni di sicurezza di ciascuno.
Una
PA che opta per una politica "conservatrice" (sia di
destra come di sinistra) sceglie invece il paradigma della
compatibilità che ha come stella polare la riduzione
dell'incidenza della PA sul PIL (misura quanto mai parziale
della ricchezza e del benessere) e persegue così più un
uso efficiente delle risorse che non il loro uso economicamente
efficace.
Una
volta assunto il concetto di "sostenibilità" come
corretto rapporto tra prezzo dell'amministrazione e benefici
per i cittadini sottoforma di crescita di "capitale sociale"
cerchiamo di definire meglio quale PA si adatta a questo schema:
-
Una
PA sostenibile è per definizione una "PA aperta",
non può infatti lavorare esclusivamente al proprio interno:
il raggiungimento dei suoi obiettivi (benessere, qualità
della vita, competitività) dipendono, infatti, anche da
fattori del tutto esogeni (demografici, politici, di economia
internazionale, ecc.) e legati ad una dinamica dei bisogni in
continuo mutamento. In questo senso la ricerca della qualità
interna e il miglioramento dell'efficienza sono importanti, ma
non bastano. È fattore chiave la capacità di creare
stabili reti di alleanze con i soggetti singoli o associati
portatori di interessi e di bisogni.
-
Una
PA sostenibile si configura quindi come una "amministrazione
condivisa"6
che facendosi forte del dettato costituzionale (Art. 118 u.c. "
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni
favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà")
scardina il "paradigma bipolare" che vuole da una parte
l'amministrazione come unica fonte sia di potere che di
prestazioni e dall'altra i cittadini amministrati (clienti,
assistiti, pazienti, ecc.) comunque soggetti passivi dell'intervento
pubblico. "...la novità sta nel fatto che la
sussidiarietà cambia alla radice il rapporto tra
amministrazioni e cittadini, impostando il rapporto tra questi poli
da sempre in conflitto in termini di collaborazione nell'interesse
generale, consentendo in determinati casi di superare la
contrapposizione pubblico-privato."7
-
Una
PA sostenibile è per definizione anche conviviale8
(nel senso dato al termine da Ivan Illich) ossia è uno
strumento democratico e partecipativo che i cittadini singoli o
associati possano controllare e usare, con fiducia, per realizzare i
propri fini.
-
Una
PA sostenibile persegue, quindi, l'empowerment dei
cittadini e si propone come una PA "abilitante"
ossia capace di creare libertà. Siamo abituati a pensare alla
PA come ad una limitazione della libertà, ed in un certo
senso con la sua potestà autorizzativa regolamentare lo è,
ma essa ne è anche garante attraverso le sue attività
di inclusione, le sue azioni positive verso le fasce deboli, il suo
compito alto di garantire diritti e regole nella società
democratica. In accordo con l'impostazione di Amartya Sen9
indichiamo come compito del "Government" quello di
"abilitare capacitazioni" (capabilities). In parole povere
proponiamo una visione della PA come strumento per rendere capaci
tutti i cittadini e le imprese di realizzare "funzionamenti",
ossia essere protagonisti di scelte tali da permetter loro di
realizzare al meglio le loro intenzioni.
-
Una
PA sostenibile è una PA capace di misurare e di misurarsi:
colonna portante di questo ragionamento è, infatti, la
valutazione ossia la possibilità di "misurare"
gli outcome della PA sia in termini oggettivi (misurazione del
benessere10),
attraverso indicatori condivisi, sia dal punto di vista della
soddisfazione dei cittadini, sia infine dal punto di vista della
produttività delle singole strutture organizzative e dei
singoli dipendenti. D'altra parte niente di meno dobbiamo
pretendere: si legge infatti nel programma di questo Governo tra le
priorità la necessita di "sostituire alla cultura
burocratica la cultura del risultato, della soddisfazione
dell'utente e della loro valutazione"11.
Date
queste premesse teoriche una prima idea per il prossimo lavoro in
preparazione del FORUM PA 2007 è di mettere al centro della
nostra riflessione la "produttività" della PA,
ossia il rapporto tra risorse impiegate e "valore"
restituito ai cittadini.
Fatemi
sapere che ne pensate,
Buona
lettura e buon lavoro

Carlo
Mochi Sismondi
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