Rapporto
annuale 2004 del DPS sugli interventi nelle aree sottoutilizzate
Il Mezzogiorno esiste ancora, combattuto tra i suoi alti e bassi,
ma ancora fondamentalmente stritolato in una carenza sistemica
di servizi e competitività che blocca la crescita della
produttività e del benessere. Carenza che la politica
ha cercato di superare non con il ritorno al trasferimento di
fondi e all'assistenzialismo, ma facendo leva su driver fondamentali
quali la realizzazione di infrastrutture ed il miglioramento
delle modalità di gestione dei servizi, utilizzando strumenti
di programmazione vincolanti come gli APQ, che "nel 2004
hanno visto un vera e propria svolta positiva nell'aggiudicazione
degli interventi". In questo modo si sta intaccando l'arretratezza
del Sud, ma la condizione delle aree del Mezzogiorno resta comunque
quella che il Rapporto stesso definisce di "sviluppo frenato".
Riportiamo l'introduzione del rapporto
"Il Rapporto - Relazione di sintesi sugli interventi
realizzati e sui risultati conseguiti nelle aree sottoutilizzate
- è lo strumento formale con cui il Dipartimento per
le politiche di sviluppo e di coesione del Ministero dell'Economia
e delle Finanze, a complemento della Relazione Previsionale
e Programmatica, informa annualmente il Parlamento sulle tendenze
economiche e sociali e sulle politiche in atto nei diversi
territori del Paese2. Particolare è l'attenzione al
Mezzogiorno e alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord, che
sono oggetto di due politiche regionali coordinate: quella
comunitaria, in attuazione del Trattato europeo, e quella
nazionale (del Fondo per le aree sottoutilizzate), in attuazione
della Carta costituzionale (articolo 119, comma 5). Sia nei
successi - forte rinnovamento imprenditoriale e amministrativo;
minore dipendenza economica dall'esterno (meno aiuti, meno
importazioni nette); apprendimento e continui progressi nella
realizzazione di infrastrutture e servizi; diffusione dei
punti di eccellenza, anche nei servizi urbani; primi segnali
di ripresa del credito - sia nelle criticità - crescita
superiore al Centro-Nord, ma frenata; qualità ancora
gravemente inadeguata di molti servizi essenziali; peso ancora
eccessivo delle spese per aiuti rispetto a quelle per infrastrutture
materiali e immateriali; scarsità di concorrenza o
presenza di condizionamenti criminali; basso contributo del
credito allo sviluppo - il Mezzogiorno che esce dal Rapporto
si sottrae a classificazioni comode e stereotipate. Il Mezzogiorno
esiste ancora, poiché in questa area la contemporanea
carenza di concorrenza e di servizi collettivi che pesa sull'intera
economia e società italiane mantiene caratteri sistemici
e blocca la crescita della produttività e del benessere.
Ma non si tratta più dello stesso Mezzogiorno. Né
di quello dei primi anni Novanta, quando dominavano ancora
trasferimenti e aiuti, ed erano evanescenti le responsabilità
e le risorse finanziarie locali. Né di quello di metà
anni Novanta, con segnali di nuova vitalità, ma privo
di indirizzi di politica economica. E neppure quello di fine
anni Novanta, quando il nuovo progetto di sviluppo dell'area
aveva mosso solo i primi passi. Si tratta, viceversa, di un'area
in fermento, con forti processi di cambiamento e forti resistenze;
dove le Regioni sono a volte irriconoscibili rispetto allo
stato di pochi anni fa, anche se deve essere rafforzato il
processo decisionale di selezione delle priorità; dove
infrastrutture e servizi stanno migliorando, anche se l'impatto
sulla produttività tarda a farsi sentire; dove l'occupazione
non agricola cresce, anche se il lavoro resta scoraggiato,
per quanto vi siano segnali di miglioramento. La politica
economica condotta in questi anni è tutt'altro che
estranea a questi risultati. Certo, la fase nuova si è
aperta a metà dello scorso decennio grazie alla reazione
salutare della società e dei mercati, delle imprese
e dei lavoratori, proprio al venir meno, traumatico, dello
Stato assistenziale. Ma quando lo Stato è tornato a
occuparsi di Sud - e non doveva essere diversamente, in presenza
del divario esistente nelle infrastrutture materiali e immateriali
delle due parti del Paese - lo ha fatto secondo un metodo
nuovo, che ha evitato per quanto possibile il ritorno ai trasferimenti
e ha scelto invece una politica di offerta volta alla produzione
di servizi, alla concorrenza e al rinnovamento istituzionale.
È stata, è ancora oggi, una strada difficile,
priva spesso di effetti immediati, che richiede tempi lunghi
e gruppi dirigenti determinati e perseveranti, pronti a rompere
rendite costituite: l'arretratezza è un processo che
si autoalimenta e resiste a lungo prima di cedere allo sviluppo.
Ma è la sola strada che può cambiare il Sud.
E che lo sta cambiando. Le informazioni raccolte, fornite
al Parlamento e ai cittadini in modo continuativo e analizzate
e offerte all'analisi esterna, sono il mezzo con cui valutare
il percorso in atto e adattarlo senza strappi. È questo
il principale obiettivo di questo Rapporto".
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